Unica chiesa sulla riva destra dell’alto corso del torrente Astico, la Pieve di San Giorgio viene edificata tra VII e VIII secolo, quale chiesa suffraganea del vicino oratorio omonimo di Caltrano.
La dipendenza da quest’ultimo termina nel 917 quando, con la riorganizzazione della diocesi di Padova, la chiesa di Velo acquisisce una propria indipendenza divenendo centro pievano per la vita religiosa di tutta la vallata dell’Astico.
Viene fatto risalire a questo periodo un primo progetto di rinnovamento dell’edificio che prevede anche la commissione di un ciclo decorativo, già datato all’età carolingia e progressivamente posticipato dalla letteratura critica tra X e XI secolo, di cui rimane testimonianza nei due registri della parete settentrionale.
A seguito di modifiche strutturali avvenute nel corso del Trecento, il ciclo di affreschi viene ridotto e privato di un’ampia sezione, corrispondente alla parte centrale della parete nord destinata ad ospitare la nuova cappella battesimale; un ulteriore intervento, a danno degli affreschi, si registra nei primi del seicento quando, con la destinazione della pieve a luogo di cura per la peste, tutte le pareti vengono intonacate a calce per ragione di igiene, tornando alla luce soltanto tre secoli dopo in occasione dei restauri del primo dopoguerra.
Con gli interventi del XIV secolo la chiesa è oggetto di importanti modifiche, tra cui la sopraelevazione degli alzati e il rifacimento della zona presbiterale con la costruzione di un’ampia abside rettangolare collegata alla navata da un’altra arcata a tutto sesto.
Un successivo intervento, databile ai primissimi anni del Quattrocento, porta all’apertura sulla parete meridionale di una cappella dedicata a Sant’Antonio.
Lo spazio viene internamente decorato ad affresco e arricchito da un polittico attribuito a Battista da Vicenza. I lavori di ristrutturazione si concludono, con ogni probabilità, nel 1470, come testimoniato dall’architrave del portale d’ingresso: “A.D 147[0] ADI X MARZO”.
A questa fase risale la sistemazione dell’atrio e della facciata principale che si caratterizza per la presenza di due alte finestre simmetriche ai lati del portale d’ingresso, incorniciato da semicolonne e arco a tutto centro, e di una cornice decorata da una teoria di archetti ciechi. È del 1599 invece l’apertura della porta laterale.
Scarse e frammentarie sono le notizie relative ai secoli successivi che segnano il passaggio della pieve sotto l’autorità di San Martino, Chiesa del castello dei nobili Velo, perdendo così la sua autonomia e la sua importanza, tanto da imporne per un periodo la chiusura al culto.
Riferimenti più approfonditi risalgono al primo dopoguerra quando la commissione militare per il ripristino dei danni di guerra esegue una serie di interventi di riparazione delle coperture (sulla cuspide del campanile, in particolare, distrutta dai bombardamenti), portando alla luce gli affreschi altomedievali dell’aula.
Un’ultima campagna di lavori si data al 1979 quando si decide di intervenire sui danni causati dal terremoto di tre anni prima con la rintonacatura dei prospetti esterni, in origine di colore bianco con una serie di sottili rigature longitudinali di colore rosso, già documentate da una fotografia del 1918.
Esternamente la pieve si presenta dotata di un catino absidale quadrangolare e di un campanile addossato al fianco settentrionale.
L’ingresso è protetto da un pronao a falda spiovente verso la strada. Alcune finestre a feritoia si aprono in corrispondenza del prospetto sud che ospita la porta di ingresso cinquecentesca, oggi murata.
Sul fianco nord si apre una cappella, già battistero, di modesta profondità, mentre sul prospetto sud sono innestate la cappella di Sant’ Antonio e la sacrestia, ampliamento ottocentesco.
La muratura del fabbricato è internamente intonacata, ad eccezione di alcune porzioni dei prospetti interni decorati ad affresco. La copertura, a due falde, è sostenuta da capriate in legno con manto in tavelle e coppi.
Le strutture portanti dell’edificio e del campanile sono realizzate in pietrame di origine locale, con scarso utilizzo di elementi in laterizio. La torre campanaria si caratterizza per la cuspide appuntita in laterizi sagomati e per la presenza di bifore ogivali ad arricchire la cella.
L’edificio è costituito da un’unica aula, a pianta rettangolare, su cui si aprono la cappella battesimale e la cappella di Sant’Antonio, oltre alla sacrestia. Lungo la parete nord, una stretta porta ad arco dà accesso al campanile.
Del più antico apparato decorativo, databile tra IX e X secolo, rimangono lungo la parete settentrionale dei frammenti di affreschi, disposti su due registri divisi da cornici multiple contenenti motivi decorativi di elegante fattura.
Sulla fascia superiore è visibile uno stralcio stilizzato di colore rosso su fondo bianco, con uccelli tra volute cuoriformi, al di sotto del quale corre una fitta perlinatura bianca, sostenuta da un motivo geometrico a piccoli dadi bianchi e rossi.
La sequenza narrativa sottostante presenta una serie di figure inquadrate entro una struttura architravata; i personaggi sulla sinistra, muniti di lancia, spada e scudo, indossano abiti di pregio, arricchiti da bordi ricamati, e copricapi di foggia triangolare.
Sulla destra sono raffigurate quattro figure tra cui risaltano i due magi, Gaspar e Melchior, individuabili grazie a un’iscrizione sulla cornice; il primo porge una sorte di vaso alla figura di Cristo benedicente, seduto in trono, con il nimbo crociato; il secondo, porta un dono a un altro Cristo.
L’affresco prosegue con l’offerta di un terzo personaggio. La narrazione viene ricondotta da gran parte della critica alla scena dell’offerta dei Magi, soggetto ricorrente nella produzione artistica carolingia e ottoniana.
In continuità narrativa, nel registro inferiore si dispiega la strage degli innocenti, conseguente alla visita dei saggi orientali e alla crudele reazione di Erode.
Anche questa scena è inquadrata da una quinta architettonica con un lungo architrave partito da lesene entro cui si collocano le figure dei soldati e delle madri con i figli.
Il ciclo mostra un grande “equilibrio nel rispetto degli spazi vuoti e pieni, nella compattezza delle figure e nella loro ricercatezza formale, a definire qual carattere colto che si coglie anche, e soprattutto, nella difficile lettura icnografica” (G. Trovabene, “Vicenza”, in F. Flore d’Arcais, La pittura nel veneto. Le origini, Milano 2004, pp. 145-152).
In origine, con ogni probabilità, la chiesa doveva essere affrescata anche sulla parete meridionale, come dimostrano alcuni lacerti che si intravvedono in particolare sopra la finestrella maggiore, entro la cui strombatura si riconosce un motivo a zig zag con elementi fitomorfi.
Ancora lungo il lato nord, la trecentesca cappella battesimale ospita un altare di legno che un’iscrizione sopra la mensa ci permette di datare all’aprirsi del Seicento (“KAL.NOVEMBRIS M-DC-I”).
Entro una struttura architettonica, sorretta da lesene decorate con motivi a festoni e culminante in un timpano, si aprono tre nicchie; la parte centrale accoglie un rilievo in marmo rosa rappresentante la Madonna con il Bambino, recante l’scrizione “HIERONIMI CALIDONII – RELIGIONE – DIC. MDXCI”; a lato, due tele con san Lucio e san Valentino, definite da Andrea Moschetti dalla “non cattiva fattura di maniera paolesca” (A. Moschetti, La chiesetta di San Giorgio presso Velo d’Astico e le sue opere d’arte, in “Rassegna d’arte antica e moderna”, 18, 1918, pp. 30-38).
L’area presbiterale è arricchita dalla presenza di una pala d’altare raffigurante una Sacra Conversazione, sormontata da una Pietà, entro una cornice lignea di epoca successiva.
Anche qui viene in aiuto l’iscrizione riportata sul cartellino dipinto sull’ultimo gradino del trono che informa sull’autore dell’opera: “JO. SPERANTIE DE VAGENTIBUS – ME PINXIT”.
Si tratta di Giovanni Speranza, pittore allievo di Bartolomeo Montagna, vicino ai modi del giovane Giovanni Bellini, del quale la pala di Velo recupera l’impaginazione del Trittico dei Frari.
Grazie a un documento restituito da Giangiorgio Zorzi (G. Zorzi, Contributo alla storia dell’arte vicentina nei secoli XV e XVI, in “Miscellanea di storia veneta”, s. III, v. X, 1916, pp.113-115) è possibile datare la tela all’aprirsi del Cinquecento, considerato che questa risulta in opera nel gennaio del 1503 con consegna prevista per la fine del mese di giugno. In corrispondenza con l’arco del presbiterio è collocato un crocifisso ligneo riferito alla critica del XV secolo.
Procedendo sul lato meridionale della navata si apre la Cappella di Sant’Antonio, dalla ricca decorazione ad affresco, su cui risalta il polittico a cinque scomparti, datato 1408, del pittore Battista da Vicenza.
Quest’ultimo ospita al centro la Madonna con il Bambino, a sinistra i santi Biagio e Martino, a destra Giorgio, titolare della chiesa, e Antonio Abate.
Figure minori appaiono ai piedi di tre di questi santi: il committente e la consorte, inginocchiati supplicanti davanti ad Antonio abate e Biagio, mentre un mendicante, presso Martino, è raffigurato in piedi.
Al centro dello zoccolo ligneo compare l’iscrizione in caratteri gotici: “OPUS FECIT BENENCORTUS QUONDAM DOMINI ANDREE DE PIOLE DE VELLO DE MENSE SETEMBRIS MCCCC.OCTAVO”.
La cappella, di pianta quadrata, presenta una volta a crociera decorata con cinque medaglioni raffiguranti i quattro Evangelisti nelle vele e il Redentore all’incrocio.
Sulle pareti si dispiegano gli affreschi da ricondurre agli stessi anni di esecuzione del polittico, il nome del cui committente, Andrea di Velo, compare nel 1408 quale fondatore della dotazione della cappella. Parte della critica, già da Giovanni Battista Cavalcaselle (cfr. Storia della pittura in Italia, Firenze 1886-1902, v. IV, p. 217), attribuisce all’autore del medesimo polittico l’esecuzione del ciclo di affreschi; decorazione da riferire, invece, secondo più recenti studi, a un anonimo veneto legato ai modi di Altichiero.
Il ciclo descrive la scena della Crocefissione, nella lunetta di fondo, e del San Giorgio e il drago, nella parete di destra, mentre sulla parete opposta, divise dalla finestra sono visibili la Resurrezione, la Pietà e l’Adorazione dei Magi.
Estratto della relazione del Soprintendente Fabrizio Magani.
La Pieve nel corso del 2024 ha subito un importante restauro conservativo che permetterà di rendere il bene nuovamente fruibile al pubblico, visitabile e soprattutto di essere usato sia come luogo di culto che come luogo per eventi culturali già a partire dai primi mesi del 2025.